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Intervista a Mario Patella: l’Arte tra Solitudine e Contemplazione

Intervista a Mario Patella: l’Arte tra Solitudine e Contemplazione

1. Cosa significa essere un pittore nel mondo contemporaneo? Qual è il ruolo della sua figura e del suo lavoro nella società odierna?
Essere un pittore oggi significa abbracciare una profonda solitudine, sia della mente che dell’anima. Questa condizione consente di vivere in maniera complessa un mondo in cui idee, concetti e pensieri trascendono i confini convenzionali. Il mio lavoro si identifica proprio in questa solitudine, che rappresenta una forza ispiratrice potente. Attraverso il mio lavoro, offro una fuga, un apparente esilio dal vivere frenetico e dal consumare tutto con superficialità.

Silenzio e solitudine sono condizioni ideali per contemplare la realtà, permettendomi di sviluppare una ricerca personale e profonda sul mondo. L’arte diventa così un mezzo per rallentare il tempo e riappropriarsi della connessione con l’essenza stessa della realtà.

2. Non crede che questa fuga dal mondo contemporaneo possa essere obsoleta o addirittura dannosa per lei?
L’isolamento può certamente portare a momenti di impotenza e incomprensione, rischiando di disconnettermi dalla realtà. Tuttavia, potrei obiettare che è proprio osservando, traducendo e talvolta trascendendo il mondo attraverso la pittura che riesco a comprenderlo. Non è il mondo antropizzato, con l’uomo al centro, ad attrarmi principalmente, ma qualcosa di più profondo e universale.

Vedo spesso le nostre montagne, come le Dolomiti, prese d’assalto nei fine settimana o durante i periodi festivi. Mi chiedo: per quale motivo le persone affollano questi luoghi selvaggi e incontaminati, svuotando le città? Quale bisogno profondo le spinge a fuggire dai contesti della loro vita quotidiana? È proprio nella risposta a questa domanda che trovo il senso compiuto del mio lavoro.

3. Perché il suo lavoro si concentra su visioni empiriche?
La mia ricerca artistica prende spunto dal dipinto di Caspar David Friedrich Il viandante sul mare di nebbia. In questa opera, apparentemente immobile, si intrecciano dinamiche fondamentali: il fruitore, l’uomo che contempla, il paesaggio e l’infinito. Nei miei dipinti, tuttavia, l’uomo contemplativo è assente, perché non è una presenza che desidero rappresentare. Una figura umana introdurrebbe un elemento di artificio, sottraendo naturalezza alla scena.

Il mio obiettivo è creare immagini che evocano un ambiente ancestrale, puro, privo di riferimenti umani, dove poter intravedere tracce di una possibile divinità. Questo contesto permette di dare senso al mio lavoro, offrendo una sensazione di compiutezza e totalità.

4. In che modo i suoi dipinti evocano questa presunta divinità?
I miei dipinti rappresentano realtà incontaminate, luoghi che portano con sé contenuti ancestrali e un forte potere evocativo. Nell’immaginario umano, le divinità abitano questi contesti. Frequentando tali spazi, è possibile percepirle, quasi incontrarle. L’antico diventa lo scenario ideale per un’epifania che è impossibile nella vita contemporanea.

Oggi l’antico è spesso violato dall’umanità votata al progresso, ma il cielo rimane un paesaggio ancestrale intoccabile. Esso diventa l’unico spazio naturale dove l’animo, in contemplazione, può sperare di entrare in contatto con il divino.

5. Il senso del suo lavoro è quindi di natura religiosa?
Esattamente, ma non in senso mistico. È piuttosto una ricerca di indizi lasciati da un’ipotetica realtà originaria. Attraverso il cielo, esploro una condizione dell’anima in cui i pensieri si placano e le emozioni si armonizzano con il lento mutare di una nube o con l’intensità di un azzurro profondo che rivela tracce d’infinito.

Il cielo è un elemento antico e immutabile che l’umanità non può alterare. Rappresenta un luogo vicino, casa dei pensieri, delle preghiere e dei desideri, ma anche degli impulsi improvvisi e dei silenzi profondi. Dipingere il cielo è, in definitiva, dipingere l’umanità stessa nella sua forma più eterea e universale.

6. L’arte antica è stata fondata sulla figura umana. Questo aspetto non la interessa?
L’arte antica narra di mitologia e di eventi religiosi che non si discostano troppo dai presupposti per le raffigurazioni attuali. Scene di genere e ritrattistica raccontano frammenti di vita quotidiana, ma sempre con una dimensione mitica. Per rappresentare l’umanità, bisogna raccontare un mito, poiché l’uomo è portatore di storie che, intrecciate, diventano leggenda.

Dipingendo cieli, invece, decontestualizzo tutto. Non è un rifiuto dell’umanità, ma il tentativo di creare un paradigma, un contesto in cui si riflettono i moti dell’anima del mondo. Rivolgere gli occhi al cielo durante la preghiera è un gesto universale. Esso accoglie speranze, segreti e desideri, trasformandoli in materia celeste: nuvole, luce e colore. Il blu, in particolare, racchiude i moti ascensionali dell’anima.

Quale migliore rappresentazione dell’umanità potrei offrire, se non attraverso una sua forma empirica e celeste?


 


 

7. Qual è il ruolo del tempo nella sua ricerca artistica? Il mutare della natura la influenza nella creazione?
Il tempo è una dimensione essenziale nei miei dipinti. È nel lento scorrere del tempo che colgo l’essenza delle trasformazioni naturali. Una nube che si forma o si dissolve racconta una storia, un attimo eterno e mutevole al contempo. Mi interessa catturare queste dinamiche e offrire un’immagine che sia sospesa tra la durata e l’istante.

8. Come vede il rapporto tra tecnologia e arte? La considera una minaccia o un’opportunità?
La tecnologia è un’opportunità straordinaria per ampliare il linguaggio dell’arte, ma nel mio lavoro preferisco distanziarmene. La tecnologia spesso riflette la rapidità e la frammentazione della contemporaneità, valori che cerco di contrastare con il mio approccio contemplativo e tradizionale.

9. Quale ruolo gioca la memoria nel suo processo creativo?
La memoria è il filo conduttore della mia ricerca. Non solo memoria personale, ma collettiva, ancestrale. Ogni paesaggio che dipingo è intriso di ricordi, non tanto del vissuto umano, ma della storia universale della natura e della spiritualità.

10. Se dovesse rappresentare l’umanità di oggi in un dipinto, come lo farebbe?
Rappresenterei l’umanità di oggi attraverso un cielo mutevole, forse coperto da nuvole dense ma attraversato da un raggio di luce. Sarebbe un simbolo del caos contemporaneo, ma anche della speranza e della resilienza che ancora ci caratterizzano.

11. C’è un artista contemporaneo o passato che sente vicino alla sua visione?
Tra i contemporanei, sento una forte affinità con Anselm Kiefer, un artista che riesce a fondere poeticamente contenuti storici e spirituali. Nei suoi lavori, ritrovo un dialogo con il passato che non è mai nostalgico, ma profondamente vivo e universale. Della tradizione più antica, invece, mi affascina Friedrich per la capacità di raccontare l’umanità attraverso la natura, rendendola protagonista silenziosa e assoluta.


 

12. Che importanza ha il colore nel suo lavoro?
Nasco professionalmente in un luogo dove il colore ha fatto la storia dell’arte, creando capolavori assoluti con cui continuo a confrontarmi e da cui non smetto di imparare. Per me, il colore è soprattutto tecnica e ricerca.

Il motivo che mi spinge a studiare e utilizzare le stesse tecniche del passato è legato a due concetti fondamentali: tempo ed estetica.

Tempo: produrre colore con pigmenti naturali richiede pazienza e dedizione. Macinare, miscelare gli ingredienti, amalgamarli al mortaio e confezionare gli impasti per preservarli sono operazioni che impongono di rallentare e rispettare i ritmi del processo creativo.

Estetica: i colori ottenuti attraverso antichi procedimenti sono qualitativamente superiori e più preziosi. Non esiste paragone con i colori industriali. Mi hanno sempre meravigliato i dipinti di Giovanni Bellini conservati alle Gallerie dell’Accademia a Venezia: opere del Quattrocento che sembrano essere state realizzate il giorno prima, per la vividezza e la forza dei colori. È questa qualità che esigo dal mio lavoro, la stessa che mi permette di creare un legame vivo con il passato e con l’eternità.

A questo si aggiunge la mia attenzione per la scelta delle tele e dei telai. Utilizzo tele di juta o materiali molto pregiati, che preparo personalmente per ottenere la base ideale per i miei dipinti. Anche i telai sono in legno pregiato, assemblati a mano da me stesso: un processo che non è solo artigianale, ma parte integrante della mia filosofia artistica. Credo fermamente che ogni dettaglio, dalla preparazione della superficie alla stesura del colore, debba esprimere coerenza e qualità senza compromessi.